17 Apr TEORIA DEI COLORI
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Il bianco è una qualità dei sensi,una qualità cromatica, mentre la chiarità è un elemento della luce. Nel bianco la chiarità si trasforma in colore, materializzandosi.
Andate a fidarvi dei vostri occhi…sembra una battuta, ma non lo è. Ciò che vediamo,infatti, potrebbe anche non essere così come ci appare. Inclusi i colori. Argomento complicato, quello della percezione cromatica, a tal punto che nemmeno gli specialisti ci vedono (sempre) chiaro.
Paradossalmente il colore più colorato è il bianco.Basterebbe mescolare su una tavolozza tutte le tonalità in esso contenute per trovarci tra le mani un bel pasticcio. O una tela avanguardistica.
Tutto vero, ma a patto di parlare del bianco della luce solare, che infatti contiene tutti i colori dell’arcobaleno, visibili dopo un temporale.Diverso il bianco che si sono costruiti gli uomini sovrapponendo il verde, il viola e l’arancione.Dall’unione del viola e dell’arancione, invece, nasce il magenta, dal viola e dal verde il ciano e dall’arancione e dal verde il giallo. Mescoliamo adesso i tre colori appena ottenuti : magenta e ciano danno di nuovo il viola, ciano e giallo il verde, magenta e giallo l’arancione. Mescoliamoli tutti e tre e ne esce il nero.Ecco quindi che bastano tre colori per stampare le riviste più sgargianti.
Che confusione… A ben vedere non ne sappiamo granchè. Per dimostrarlo basta questo semplice esperimento: in una stanza inondata da una forte luce rossa i tendaggi rimangono blù (se già lo erano), il cactus verde (idem) e la poltrona rossa (idem). Per l’occhio umano quindi non cambia nulla. Ma se fotografiamo la stessa scena, sono dolori. Il blù diventa viola, il verde giallo e il rosso ancora più rosso.
Perchè mai la macchina fotografica vede qualcosa che al nostro occhio sfugge? Perchè ci portiamo dietro un retaggio millenario fatto di automatismi, di complicati processi cerebrali e di una certa limitatezza umana.
L’uomo, infatti, è lungi dal vedere tutto ciò che ci sarebbe da vedere e ciò che vede spesso non corrisponde alla realtà.
Ma torniamo al nostro esperimento. Mentre la macchina fotografica ha percepito la variazione cromatica generata dalla luce rossa i nostri occhi si sono lasciati ingannare : hanno analizzato ciò a cui sono abituati, mettendo in relazione i dati raccolti ma saltando a piè pari ciò che mette in crisi il consueto iter percettivo.
Ciò che dovrebbe trasparire da questa sommaria spiegazione è che tale automatismo cromatico è legato all’evoluzione della specie. David H. Hubel ce ne fornisce una interessante descrizione: tra i vertebrati, la sensibilità ai colori è appannaggio dei singoli gruppi; probabilmente nel corso dell’evoluzione si è verificata più volte una selezione, oppure è andata persa per poi riaffiorare. Sembra che l’uomo abbia sviluppato la percezione dei colori per poter riconoscere i diversi toni di verde delle piante e capire facilmente il grado di maturità dei frutti. La nostra competenza cromatica eccelle proprio in queste tonalità. Ecco quindi che l’automatismo di cui dicevamo corre in aiuto all’uomo per garantirgli tale capacità indipendentemente dall’ora del giorno e dall’intensità della fonte luminosa. In altre parole, che il sole splenda al suo zenit o stia al tramonto, il giallo di una banana o il verde di un fico , sono sempre ugualmente visibili.
Di notte no. Perchè di notte tutti i gatti sono neri e non solo loro. Se c’è poca luce l’uomo diventa daltonico…
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