CRISI CLIMATICA E ANTROPOCENE

CRISI CLIMATICA E ANTROPOCENE

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Le soluzioni al cambiamento climatico

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Le attività umane influenzano sempre di più il clima e la temperatura della Terra bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali. Questo aggiunge enormi quantità di gas serra a quelli presenti naturalmente nell’atmosfera, aumentando l’effetto serra e il riscaldamento globale. A provocare più danni è soprattutto il consumo di carbone, petrolio e gas, che rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra. Secondo il Global Energy Perspective 2019 di McKinsey le fonti fossili sono responsabili dell’83% delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione di elettricità attraverso il carbone incide per il 36%, anche se nel 2020 – per effetto della pandemia dal Covid-19 – le emissioni sono scese drasticamente (fonte World Energy Outlook 2020). È stato stimato che l’attuale tendenza delle emissioni di CO2 dovute alla combustione del carbone è responsabile di circa un terzo dell’aumento di 1° centigrado delle temperature medie annuali al di sopra dei livelli preindustriali, rendendola la principale fonte di emissioni nella storia umana. In assoluto il petrolio è la seconda fonte di emissioni, avendo prodotto nel 2019 12,54 miliardi di tonnellate di CO2 (l’86% del totale del carbone di 14,550 miliardi di tonnellate).

Anche l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti: gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo l’anidride carbonica dall’atmosfera, quindi se vengono abbattuti l’effetto benefico si perde e il carbonio immagazzinato negli alberi viene rilasciato nell’atmosfera, accentuando all’effetto serra.

Infine, l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto serra.

Gli accordi internazionali

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Cosa fare per rimediare? Nel dicembre del 2015, alla Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è stato firmato l’atteso Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che fornisce un quadro credibile per raggiungere la decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine per affrontare il cambiamento climatico e una struttura flessibile basata sui contributi dei singoli governi. I governi firmatari si sono impegnati a limitare l’aumento della temperatura al di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per rimanere entro 1,5°, per raggiungere il picco delle emissioni il prima possibile e raggiungere la carbon neutrality nella seconda metà del secolo. Nonostante il successo della COP21, molte sono le questioni lasciate aperte dall’accordo. Nel 2018 la COP24 di Katowice ha approvato le regole di attuazione dell’Accordo di Parigi (il cosiddetto “Paris Rulebook”), mentre la COP25, tenutasi in Spagna nel 2019, è stata definita dal Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres “un’opportunità persa”.

La strada da percorrere per la decarbonizzazione è chiara e si chiama transizione energetica: il passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno a basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili. Le tecnologie per la decarbonizzazione ci sono, sono efficienti e vanno scelte a tutti i livelli. La scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente. Il cambiamento del clima non aspetta e non si ferma. Serve un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo. 

.Definire tutto questo con il termine climate change è corretto ma non rende abbastanza l’idea. Dobbiamo iniziare a parlare di crisi climatica perché il clima è sempre cambiato, ma non così in fretta e non con delle infrastrutture rigide e complesse come sono le città e il sistema produttivo ai quali i Paesi più industrializzati sono abituati.