15 Set MOBY DICK
Moby Dick era l’utopia di sempre. Riprendere l’icona della balena bianca di Melville significa non ammainare mai il sogno… perché un uomo senza sogni non ha futuro.
Melville, Herman. – Scrittore statunitense nato a New York nel 1819 . Tra le maggiori personalità dell’Ottocento americano, esplorò problematiche basilari dell’esistenza quali il rapporto tra uomo e natura, i limiti della morale comune, l’essenza del male. Tali temi sono compiutamente espressi in Moby Dick (1851), che solo a distanza di molti decenni verrà indicata come una delle maggiori opere della narrativa di tutti i tempi. In essa, la dissennata caccia del capitano Achab alla balena bianca acquista i contorni di un dramma in cui l’uomo, nel tentativo folle di trascendere i limiti propri della sua condizione, condanna sé stesso e i suoi seguaci al baratro morale, all’annichilimento della ragione, alla morte.
M. approdò alla letteratura dopo aver trascorso alcuni anni come marinaio nella marina mercantile prima, su una baleniera poi. A ventisette anni esordì con Typee (1846), romanzo a sfondo esotico basato sulle sue esperienze di viaggio, sul temporaneo inserimento nella primitiva armonia delle popolazioni indigene della Polinesia, sull’ambigua, avventurosa fuga verso la “civiltà”. Questo stesso scenario fa da sfondo al successivo Omoo (1847), che accrebbe la notorietà di M. riaccendendo il dibattito sulle critiche da lui mosse all’operato dei missionarî in quelle terre, e al più ambizioso e composito Mardi (1849), in cui M. tenta, con risultati alterni, la via dell’allegoria religiosa e politica. Con Redburn (1849) e White jacket (1850), le dinamiche interne all’organizzazione gerarchica della vita di bordo, già vista come microcosmo turbato da un più ampio conflitto di passioni umane, divengono il nodo centrale dell’indagine critica di M., anticipando, seppure soltanto in embrione, il complesso sviluppo e la dimensione tragica cui quello stesso motivo verrà piegato in Moby Dick. La stratificazione di registri linguistici mutuati dalla Bibbia e dai modelli classici, dal teatro shakespeariano e dal linguaggio scientifico moderno, dà al testo melvilliano uno spessore mitico e un respiro che rendono quest’opera – che l’autore dedicò all’amico N. Hawthorne – unica nel suo genere. Il naufragio editoriale di Moby Dick contribuì al precoce declino della vena narrativa di M., che col fallimentare esperimento nel genere psicologico, Pierre, or the ambiguities (1852), e con la scabra satira di The confidence man (1857) avrebbe concluso, non ancora quarantenne, la propria attività di romanziere. A The piazza tales (1856), una raccolta di racconti in cui compaiono lo splendido Bartleby, the scriv ener e Benito Cereno (come Moby Dick tradotto in italiano da C. Pavese), faranno seguito le sue opere in poesia, Battle-pieces and aspects of the war (1866), Clarel (1876), i libri di viaggio e l’incompiuto Billy Bud (post., 1924), racconto lungo di cupa bellezza.
In Moby Dick oltre alle scene di caccia alla balena, si affronta il dilemma dell’ignoto, del senso di speranza, della possibilità di riscattarsi che si può presentare da un momento all’altro. Alla paura e al terrore e alle tenebre, si affiancano lo stupore, la diversità, le emozioni che convivono insieme in questo romanzo di avventure: interiorizzando tutte le questioni, Melville vi profuse riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche – il dibattito sui limiti umani, sulla verità e la giustizia – e artistiche del narratore Ismaele, suo alter ego e una delle voci più grandi della letteratura mondiale, che trasforma il viaggio in un’allegoria della condizione della natura umana e al contempo in una parabola avvincente dell’imprudente espansione dell’allora giovane repubblica americana.